Avvisi di addebito: riparte il confronto sui contributi INPS

Avvisi di addebito: riparte il confronto sui contributi INPS

Con il 1 settembre 2021, venuto meno il “blocco” per accertamenti di imposte e cartelle esattoriali, l’INPS ha ripreso a formare e notificare Avvisi di addebito. Ne saranno destinatari molti che hanno goduto di “sospensioni” tra il 2020 e il 2021. Sebbene si parli di nuovi stop alle cartelle, pare opportuno che i contribuenti anticipino le proprie difese. Con una speciale attenzione al tema della prescrizione dei diritti dell’INPS, come da Circolare n. 126/2021. Alcuni suggerimenti possono però rendere meno ardue le tutele e le prossime opposizioni.

di Mauro Parisi

Per chi ha ricevuto richieste di regolarizzazione della contribuzione da parte dell’INPS nel corso dell’ultimo anno e mezzo (come pure nel periodo precedente, ma senza che fosse ancora disposta ingiunzione dei relativi pagamenti. Ciò a prescindere che dipenda da accertamenti ispettivi o d’ufficio), parrebbe essere arrivato il tempo del confronto finale con l’Istituto. Il condizionale è d’obbligo (visto l’agitarsi di molte opzioni e in attesa di possibili nuovi “blocchi” e auspicate procedure di “rottamazione”), ma non esclude, prima o dopo, la necessità di affrontare il “problema”.

Se a partire dall’inizio della pandemia, infatti, molti si sono “distratti” (allontanando fatalisticamente l’idea di dovere provvedere ai versamenti pretesi, come a un’ipotesi remota; oppure hanno fatto scientemente conto sulla circostanza che l’INPS non avrebbe portato in esecuzione i propri crediti), da settembre 2021 sono iniziati i recapiti delle prime speciali cartelle esattoriali dell’INPS, gli Avvisi di addebito previsti dall’art. 30, D.L. 78/2010. Si tratta di un’avanguardia -che potrebbe essere l’ultima, per il 2021-, frutto degli infasamenti di crediti da parte degli uffici, con formazione di ruoli e notifiche delle ingiunzioni, soprattutto per i debiti prossimi alla prescrizione.

Come noto, con il D.L. n. 99/2021, a modifica del D.L. n. 34/2020, le riscossioni, già sospese nel 2020 e nel primo periodo del 2021, lo erano state ulteriormente fino al 31 agosto 2021. Scaduta la moratoria per le note vicende COVID-19, sono ripartite tutte le attività di formazione di cartelle esattoriali, comprese quelle relative ai titoli INPS, destinate ai contribuenti morosi.

Attualmente o in seguito, quindi -e al netto di potenziali “rottamazioni” (non a costo zero, s’intende)-, il confronto sulla contribuzione che l’Istituto presume evasa, appare ineludibile.

Certi che prevenire è meglio che curare, alcuni suggerimenti e informazioni possono essere fin d’ora utili per prepararsi ad affrontare con cognizione di causa le prossime inevitabili sfide.

La prima indicazione può dirsi senz’altro molto banale, ma spesso si rivela di basilare rilevanza nei contenziosi previdenziali. Ed è quella di leggere con attenzione ogni genere di atto che ci viene recapitato dall’Istituto.

A un occhio poco esperto, infatti, sovente sfugge la gravità della circostanza di avere ricevuto un documento di alcune pagine (12-15, di solito) in cui, con nessun particolare clamore, “la Sede di ….” dell’INPS “avvisa” il contribuente di “aver proceduto al controllo della posizione contributiva sopra riportata relativamente” a un dato periodo. Poco sotto, sul medesimo frontespizio, viene fatto riferimento anche all’“importo totale” richiesto, “comprensivo delle spese di notifica e degli oneri di riscossione”.

La parola “riscossione” dovrebbe calamitare l’attenzione di chi riceve l’atto, quantomeno al fine di favorire un sempre utile approfondimento da parte del professionista che lo assiste. Ma in difetto dell’immediata lettura degli attesi termini sacramentali, quali “Cartella esattoriale” o “Avviso di addebito” (quest’ultima locuzione la si ritrova, confusa tra altre, dalla seconda pagina dei modelli dell’Istituto), spesso il contribuente sottovaluta ciò che gli è stato trasmesso.

Proprio in riferimento alla notifica potenziale di atti dell’INPS, soprattutto in questo periodo appare quanto più conveniente tenere sempre sotto controllo l’indirizzo aziendale di posta elettronica certificata. Infatti, è con Pec che ordinariamente l’INPS comunica i propri Avvisi di addebito alle imprese. Una trasmissione di notifica, con effetti istantanei, da cui decorrono i termini per proporre le eventuali opposizioni davanti ai Giudici del lavoro.

Scorrendo l’ingiunzione, va fatta attenzione alla circostanza che negli avvertimenti (“quando e come presentare ricorso”), viene offerta la sola indicazione della forma di Opposizione relativa al merito della pretesa, quella da proporre nel tempestivo termine di 40 giorni, non suscettibili di sospensioni di sorta (“il contribuente può proporre opposizione … entro il termine di 40 giorni dalla notifica dell’Avviso di addebito… Il ricorso va presentato al …Giudice del lavoro, nella cui circoscrizione ha sede l’INPS che ha emesso l’avviso”). Nulla si dice, invece (un piccolo segreto nei riguardi del contribuente) della circostanza per cui, se l’opposizione giudiziale attiene a vizi formali del titolo, essa va proposta addirittura entro 20 giorni dalla notifica, configurando opposizione agli atti esecutivi. Ciò, di fatto, ridurrà ai primi 20 giorni (un termine materialmente poco consono a buone difese), anche la possibilità di sollevare gli ulteriori vizi di merito.

Va però osservato come sia molto avveduto e opportuno -almeno per chi sa per certo di avere debiti e di doversi attendere la notifica di un Avviso di addebito-, muoversi in anticipo, portando in giudizio l’INPS. Vale a dire, instaurando un contenzioso giudiziale, con azioni di accertamento negativo, ex art. 442, cpc, contro l’Istituto, prima che quest’ultimo invii il proprio titolo esecutivo. I motivi di favore della scelta non mancano.

Il primo dei quali è che la pendenza di un previo giudizio -anche negli eventuali e successivi gradi di giudizio e fino al giudicato-, impedisce, nelle more, che inizi l’escussione del debitore per la contribuzione che si pretende omessa. Una conseguenza non scongiurata, invece, dalla sola opposizione all’Avviso di addebito, per cui sarà necessario un provvedimento del Giudice del lavoro di sospensione dell’efficacia del titolo (non sempre concesso e comunque, di massima, ottenibile solo per il primo grado di giudizio). In tale senso, una volta avviata l’azione giudiziale di accertamento, non può legittimamente essere formato Avviso di addebito, ai sensi del decreto legislativo n. 46/1999: diversamente, il medesimo dovrà ritenersi invalido.

Depone per l’utilità dell’anticipazione del contenzioso anche la considerazione che l’azione giudiziale avviata prima dell’Avviso di addebito mantiene “regolare”, nel frattempo, l’azienda ai fini del DURC. Circostanza non garantita di per sé dall’opposizione all’Avviso notificato (salvo la detta sospensione da parte del Giudice), soprattutto per i successivi gradi di giudizio.

Un utile suggerimento, inoltre, è quello di non fare affidamento, anche in casi molto evidenti di illegittimità del debito contributivo e dell’Avviso di addebito, su mere rassicurazioni informali da parte delle sedi INPS, circa l’archiviazione in autotutela della posizione. Solo un formale sgravio del titolo, chiaramente precedente rispetto al termine per proporre opposizione, potrà, infatti, garantire il contribuente, diversamente costretto comunque a presentare il ricorso. Del resto, come noto, il difetto di opposizione tempestiva consolida l’Avviso di addebito, che diventa incontestabile a prescindere dalla sua correttezza sostanziale.

Oltre alle questioni di merito sollevabili nei casi specifici, un sicuro leit motiv dei prossimi anni sarà quello relativo al perfezionarsi o meno della prescrizione del diritto alla contribuzione pretesa nelle singole situazioni. Questioni che sorgeranno, come risaputo, in forza delle diverse misure di “sospensione” introdotte a causa della pandemia, tra cui quelle della prescrizione quinquennale, prevista dall’art. 3, comma 9, legge n. 335/1995.

La prima sospensione venne disposta dall’art. 37, D.L. n. 18/2020, dal 23.2.2020 al 30.6.2020, per un periodo pari a 129 giorni. Il secondo periodo di sospensione, dal 31.12.2020 al 30.6.2021, venne stabilito in forza dell’art. 11, c. 9. D.L. n. 183/2020 per complessivi 182 giorni. Ove poi il decorso del debito abbia avuto inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio sarà da ritenersi differito alla fine del periodo stesso.

Data l’importanza del tema e il prevedibile contenzioso che insorgerà al riguardo, l’INPS ha già emanato la Circolare n. 126 del 10.8.2021, concernente, appunto, la “Sospensione dei termini di prescrizione delle contribuzioni di previdenza e di assistenza sociale obbligatoria”.

Così la Circolare INPS n. 126/2021 sulla prescrizione dei contributi

Prescrizione che doveva maturare tra il 23.2.2020 e il 30.6.2020
Nel caso in cui il termine quinquennale di prescrizione doveva maturare durante il periodo di sospensione compreso tra il 23.2.2020 e il 30.6.2020, il computo del residuo termine quinquennale della prescrizione deve avvenire a partire dal 1.7.2020, sommando 129 giorni all’originario termine di maturazione della prescrizione.
Prescrizione che matura dal 31.12.2020
Nel caso in cui il termine quinquennale di prescrizione maturi a partire dal 31 dicembre 2020, il nuovo termine si determina sommando per intero la sospensione di cui all’articolo 37, comma 2, del decreto-legge n. 18/2020 e la sospensione di cui all’articolo 11, comma 9, del decreto-legge n. 183/2020 (129 giorni + 182 giorni).

Tra i suggerimenti di merito che potranno tornare utili nell’opporsi alle ingiunzioni previdenziali, andrà senza dubbio ricordato come costituiscano validi atti interruttivi della prescrizione solo quelli provenienti direttamente dall’INPS, quale creditore (cfr. Cassazione, sentenza n. 15292/2020: “la prescrizione è rivolta a sanzionare l’inerzia del titolare nell’esercizio del diritto e non viene interrotta dall’azione del soggetto passivo del rapporto rivolta a contestare l’esistenza stessa del diritto”). Una ragione in più per proporre un’azione giudiziale di accertamento, senza attendere la “richiesta” dell’Istituto.

Del resto è consigliabile rammentare, come spesso l’INPS si scordi di tenere in dovuta considerazione che l’eccezione di prescrizione in materia di contributi, una volta esaurito il termine, opera autonomamente, avendo efficacia preclusiva e non solo estintiva, ed essendo irrinunciabile da parte dell’Istituto creditore. Per cui essa potrà essere anche solo genericamente rilevata dal contribuente debitore (cfr. Cassazione, sentenza n. 31345/2018, alla luce del chiarimento della decisione delle SS.UU., n. 23397/2016), non ricadendo nel regime di disponibilità delle parti e potendo essere comunque riconosciuta anche d’ufficio dal Giudice.

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