Soprattutto in tempo di COVID-19, sono numerosi i posti di lavoro la cui sopravvivenza è a grave rischio. Molti, come noto, sono quelli mantenuti formalmente in vita solo in forza di disposizioni di legge o di interventi di solidarietà, nella spesso labile speranza di una ripresa.
Per cui è facile aspettarsi che i lavoratori dipendenti, comprensibilmente preoccupati, si guardino attorno e si diano da fare alla ricerca di valide alternative. Malgrado la crisi occupazionale che si registra, può anche accadere che gli sforzi di taluni siano premiati con nuove offerte di lavoro, occasioni inattese da non farsi sfuggire e da raccogliere al volo, per garantirsi un futuro di maggiore serenità.
Il preavviso nel termine e nei modi stabiliti
Liberarsi del vecchio lavoro -quantunque in crisi e “quiescente”-, tuttavia, richiede il rispetto delle note regole del preavviso, per cui, sia il datore di lavoro, sia il dipendente, possono recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma offrendo un “preavviso nel termine e nei modi stabiliti” dal CCNL applicato.
Pure potendo comprensibilmente esistere validi motivi personali per cui una parte desideri con urgenza risolvere il proprio rapporto di lavoro, la cristallina previsione dell’art. 2118 del codice civile impedisce ogni eccesso di “fretta”, stabilendo in modo lineare che “in mancanza di preavviso, il recedente è tenuto verso l’altra parte a un’indennità equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso”.
A mitigare il divieto dell’incombenza immediata di inopinati addii, è il successivo art. 2119, codice civile, per il quale, tanto il datore di lavoro, quanto il dipendente, possono recedere ad nutum dal contratto “qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto”. In definitiva, si tratta dell’ipotesi di “giusta causa” del recesso.
Quando a dimettersi per giusta causa è il lavoratore, si tratta di norma di una reazione legittima a un comportamento illecito del datore di lavoro. In questo caso, al dipendente che recede compete anche l’indennità sostitutiva di preavviso.
Esclusa la fattispecie di dimissioni del prestatore di lavoro come giusta reazione a una condotta lesiva dell’azienda, tuttavia, pure essendogli sempre concesso recedere dal rapporto, il lavoratore sarà tenuto a garantire al datore di lavoro il richiesto preavviso temporale. In difetto, dovrà corrispondere all’azienda un’indennità equivalente al mancato periodo di lavoro “non preannunciato”.
La materia conosce, però, oggi, l’interessante orientamento offerto dal Giudice del lavoro di Milano, con la sentenza n. 160 del 21.01.2021.
Il caso sottoposto all’attenzione del Tribunale milanese riguardava la vicenda di lavoratori impiegati in un appalto pubblico, quali dipendenti dell’azienda appaltatrice.
Nel tempo, il committente pubblico aveva bandito concorsi, per le medesime attività e servizi svolti dall’appaltatore e alcuni lavoratori, partecipanti alla selezione pubblica, avevano superato le relative prove, inserendosi in modo utile nelle graduatorie.
Successivamente l’azienda appaltatrice aveva perso l’appalto. Non potendo l’azienda garantire l’occupazione di tutti coloro che erano stati impiegati nell’appalto, erano scattate le procedure di licenziamento collettivo.
I dipendenti continuavano a prestare la loro consueta attività, mentre il nuovo appaltatore valutava la possibilità di assorbirli tutti.
Prima della conclusione dell’appalto in scadenza e delle varie procedure di “mobilità”, tuttavia, il committente pubblico proponeva l’assunzione ad alcuni dei dipendenti dell’appaltatore, già vincitori della selezione. Senza attendere altro, né sostanziale soluzione di continuità, i lavoratori presentavano le loro “dimissioni volontarie” in via telematica e iniziavano immediatamente a operare per l’ente pubblico, presso la medesima struttura.
L’appaltatore uscente, pertanto, non potendo che prendere atto della scelta volontaria occorsa, si limitava a trattenere l’indennità sostitutiva del preavviso non lavorato, come da CCNL.
Non condividendo la trattenuta, tuttavia, gli oramai ex-dipendenti agivano in giudizio, lamentando la lesione del loro diritto e pretendendo la restituzione dei relativi importi.
Il Giudice del lavoro di Milano dava loro ragione, rilevando che per questa ipotesi di recesso ad nutum, a prescindere dall’inesistenza di giusta causa delle dimissioni, non è ammissibile alcuna trattenuta per mancato preavviso.