Accertamento fiscale induttivo: presunzioni valide anche per l’INPS
Diversamente dalla prassi consolidata dell’INPS -per le cui verifiche si devono operare riscontri sostanziali di eventuali evasioni di contributi-, ove le pretese dell’Istituto trovino fondamento in precedenti accertamenti fiscali, è sufficiente che la prova offerta sia di natura presuntiva. Così, per esempio, per la sentenza della Corte d’Appello Bari, n. 345/2025.
L’accertamento fiscale operato dell’Agenzia delle Entrate (AdE) può produrre effetti in materia contributiva anche se assunto con metodo induttivo e non con prova puntuale dei fatti contestati, come anche da usuale prassi INPS (cfr. Circolare n. 76/2016).
A fronte di ciò, le verifiche a fini tributari compiute da AdE e Guardia di Finanza sulla maggiore base imponibile, determinano interruzione della prescrizione anche in materia di contributi, se i presupposti fattuali sono i medesimi.
Sulla scia degli orientamenti della Suprema Corte, anche i Giudici di merito hanno spesso approfondito il rapporto tra i diversi ambiti di accertamento ispettivo e d’ufficio, rilevandone una relazione e conseguenze difficili da superare per il contribuente.
Tra le pronunce che di recente hanno esaminato con attenzione gli aspetti della materia, merita di essere segnalata la sentenza del 27.03.2025, n. 345 della Corte di Appello di Bari, sezione lavoro.
Il caso definito dai Giudice di secondo grado, concerne una pretesa dell’INPS, sorta a seguito della scoperta di imponibili evasi da assoggettare a imposizione fiscale, sulla base delle verifiche eseguite nei confronti di una Società che aveva trattato fatture di acquisto per operazioni commerciali ritenute inesistenti. In conseguenza del preliminare accertamento fiscale, era stato contestato un maggiore reddito da partecipazione a un socio, che si era visto in seguito notificare Avvisi di addebito INPS volti al recupero dei contributi non versati alla Gestione commercianti.
Il socio aveva reagito, non solo contestando l’accertamento dell’imposizione fiscale di fronte alle Corti di giustizia tributaria, ma anche opponendosi agli Avvisi di addebito. Un’opposizione che trovava accoglimento in primo grado, con sentenza del Giudice del lavoro, che però veniva appellata dall’Istituto. Notevolissimo l’intreccio dei motivi e dei temi, comuni alla più parte dei contenziosi in materia.
In particolare, di fronte al Tribunale ordinario veniva fatto valere, non solo la perfezionata prescrizione del diritto di credito dell’INPS, ma pure come, ai sensi dell’art. 24, c. 3, D.Lgs n. 46/1999, in presenza di impugnazione dinanzi alla commissione tributaria, l’INPS non avrebbe potuto iscrivere a ruolo i contributi previdenziali calcolati sulla base del maggior reddito accertato dall’Agenzia delle Entrate, né, perciò, formare l’Avviso di addebito.
Erano molti, però, gli argomenti sollevati dall’Istituto, che portavano all’accoglimento dell’appello.
Innanzitutto, veniva evidenziato che non si era realizzata alcuna prescrizione, non solo per l’esistenza di atti interruttivi, ma pure in quanto, nel caso, per l’occultamento posto in essere, ricorrerebbe l’ipotesi di sospensione del decorso del tempo, ai sensi dell’art. 2941, n. 8, cod.civ. (“La prescrizione rimane sospesa … tra il debitore che ha dolosamente occultato l’esistenza del debito e il creditore, finché il dolo non sia stato scoperto”).
L’intreccio di accertamenti fiscali e contributivi, rileverebbe, quindi, sotto il peculiare profilo dell’art. 4, D.Lgs. n. 462/1997 (“Unificazione ai fini fiscali e contributivi delle procedure di liquidazione, riscossione e accertamento”, che modifica il DPR n.602/1973 sulle disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), il quale prevede che
Le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, sono iscritti a titolo provvisorio nei ruoli, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per la metà degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati
Una disposizione che, tuttavia, risulta da coordinare tecnicamente con quella successiva del citato art. 24, c. 3, D.Lgs 46/1999, relativa a contributi e premi, per cui “Se l’accertamento effettuato dall’ufficio è impugnato davanti all’autorità giudiziaria, l’iscrizione a ruolo è eseguita in presenza di provvedimento esecutivo del giudice”.
È però soprattutto nel merito dei rapporti tra accertamento fiscale e pretesa contributiva che la sentenza della Corte d’Appello barese merita attenzione.
In primo luogo, essa si esprime con riguardo all’efficacia dell’accertamento compiuto a fini fiscali, rispetto alle pretese dell’Istituto. La sentenza n. 345/2025 precisa l’effetto interruttivo dell’accertamento fiscale sulla prescrizione contributiva, in tale senso sottolineando che
in tema di omissioni contributive derivanti dalla produzione di un maggior reddito verificato sulla base di un avviso di accertamento emesso dall'Agenzia delle Entrate, la Cassazione ha avuto modo di precisare che in forza dell'art. 1, D.Lgs. n. 462/1997, l'Agenzia delle Entrate opera, a mente dell'art. 36 bis, DPR n. 600/1973, un'attività di controllo sui dati denunciati dal contribuente, richiedendo altresì il pagamento dei contributi e premi evasi, con successiva trasmissione all'INPS. Per cui, allorquando il maggior contributo previdenziale dovuto sia accertato dall'Agenzia delle Entrate prima dello spirare del termine di prescrizione, la notifica dell'avviso di accertamento incide, sia sul rapporto tributario, sia su quello contributivo previdenziale, determinando l'interruzione della prescrizione anche in favore dell'INPS.
A suffragio di ciò, vanno segnalate le pronunce della Suprema Corte, nn. 17769/2015, n. 13463/2017, 14410/2019, 18140/2020, 24858/2022.
La Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 19640/2018) ha avuto modo di affermare che l’accertamento fiscale costituisce anche un atto amministrativo di ricognizione dell’avveramento del fatto costitutivo dell’obbligazione contributiva (nel caso, la produzione di un determinato reddito superiore). In tali situazioni, le sedi dell’INPS intervengono, quindi, con un procedimento amministrativo di secondo grado per verificare la correttezza dell’importo pagato.
In effetti, l’art. 1, D.Lgs. n. 462/1997, unificando criteri di determinazione delle basi imponibili fiscali e contributive, nonché le relative procedure di accertamento e riscossione (cfr. art. 3, c. 134, L.n. 662/1996), stabilisce che per la liquidazione e recupero dei contributi e dei premi previdenziali ed assistenziali che devono essere determinati nelle dichiarazioni dei redditi (come nella vicenda), “si applicano le disposizioni previste in materia di imposte sui redditi“.
Per cui l’Agenzia delle Entrate opera un’attività di controllo, effettuando accertamenti formali e sostanziali sui dati denunciati dai contribuenti, richiedendo anche il pagamento dei contributi e premi evasi e trasmettendo successivamente all’INPS le relative risultanze. Si tratta di un sistema comune ai due rapporti, previdenziale e tributario, in cui le azioni di accertamento disposte dall’AdE costituiscono altresì atti di esercizio del rapporto previdenziale, rispondendo al fine di semplificare e uniformare le procedure di iscrizione a ruolo delle somme a qualunque titolo dovute all’Istituto.
La circostanza della valenza duplice delle verifiche fiscali, pone questioni in relazione all’efficacia probatoria, in ambito contributivo, delle verifiche induttive normalmente praticate in sede tributaria.
La sentenza n. 345/2025 ripropone al riguardo l’insegnamento della Cassazione (n. 14237/2017), che ammette l’efficacia dell’accertamento induttivo anche in ambito contributivo. Per cui
in tema di accertamento tributario l'inesistenza di passività dichiarate o le false indicazioni possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti. Pertanto, il giudice di merito è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall'amministrazione, dando atto, in motivazione, dei risultati del proprio giudizio e solo in un secondo momento, qualora ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato.
Ferma, perciò, la corretta portata presuntiva dell’accertamento tributario, ricorre la necessità che tale forma di verifica, per essere superata, venga in qualche modo sovvertita dal contribuente che intenda evitare il consolidamento dell’accertamento stesso. Un’inversione sostanziale dell’onere probatorio, su cui la Corte d’Appello di Bari rimarca come, in mancanza di tale attività difensiva e di dimostrazione di senso opposto, l’atto di accertamento tributario deve ritenersi idoneo a rendere definitivo quanto l’amministrazione desidera provare, risultando quindi la presunzione sufficiente a supportare il diritto alla contribuzione (cfr. Cass. nn. 21541/2019 e 950/2021).
Per i giudici di merito, in definitiva “in difetto di una idonea prova di resistenza fornita da parte dell’opponente, l’accertamento tributario invocato dall’INPS è senz’altro sufficiente a suffragare la pretesa contributiva azionata dall’Ente previdenziale”.
[L’articolo è anche sulla rivista “Sintesi” dei Consulenti del Lavoro di Milano, nonché sul sito dell’ANCL]
Articolo a cura di MAURO PARISI – Studio Legale VetL
Approfondimento del 26.05.2025
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